San Vincenzo de' Paoli |
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Nel 1845 fu emanato un decreto imperiale (di Ferdinando I) sulla costituzione della sesta parrocchia nella città di Trieste. Ma appena nel 1889 il comm. Francesco de Seppi, con atto di sensibile magnanimità, aveva messo a disposizione un terreno in via Petronio, dinanzi all'Asilo Albertinum, poi Speranza e oggi Educandato Gesù Bambino, perché vi fosse edificata una chiesa da dedicare a san Vincenzo de' Paoli su suggerimento di don Giovanni Buttignoni, animatore della prima Conferenza vincenziana che andava nascendo dalla Società Cattolica Triestina (futura Azione Cattolica). La
prima pietra della "sesta chiesa parrocchiale" fu benedetta nel 1890 dal
vescovo Giovanni Nepomuceno Glavina e iniziò subito ma lentamente
e stentatamente la costruzione del sacro edificio secondo il disegno degli
ingegneri Giovanni Righetti ed Enrico Nordio.
La
promessa di costruire la chiesa centro di vita parrocchiale venne mantenuta
però più di un anno dopo: dal gennaio 1907 hanno inizio i
registri parrocchiali e la vita pastorale autonoma.
Bisognerà
però attendere fino al 1930 per l'altare marmoreo che, insieme alla
chiesa stessa, venne consacrato il 25 ottobre di quell'anno dal vescovo
Luigi Fogar.
Don Bruno Speranza,
parroco dal 15 settembre 1963 al 26 febbraio 2004, dopo aver realizzato
il vasto complesso delle opere parrocchiali, ha avviato, con la valida
collaborazione della comunità parrocchiale, un ampio programma di
restauro e di completamento degli esterni e degli interni della parrocchia.
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Dopo le modificazioni apportate all'ambiente fisico tra il XVIII e il XIX secolo per acquisire nuove aree edificabili,
la crescita demografica di Trieste fu assorbita da uno sviluppo edilizio che interessò i rilievi circostanti.
Fra le dodici borgate e contrade territoriali sorte nella cerchia di tali colline, Chiadino è quella che registra
il più sensibile incremento delle case e degli abitanti fra i censimenti del secolo XX.
L'esaurimento progressivo di aree fabbricabili, la conseguente migrazione degli abitanti dal centro alla periferia e
la presenza di nuove strutture sanitarie e assistenziali furono un incentivo all'urbanizzazione di questa parte del territorio:
l'ospedale (1841) e l'Istituto dei Poveri (1862) costruiti nella contrada di Chiadino, a levante della città
e incastonati ai margini dell'abitato, devono essere stati elementi catalizzatori per lo sviluppo degli insediamenti
in questa zona che andò articolandosi quasi come emanazione di quell'asse viario costituito dalla prosecuzione
di via del Torrente (attuale via Carducci) con via della Barriera Vecchia e con via Molino a Vento.
Ancora alla fine dell'Ottocento i terreni fra il colle di San Giacomo e la Valle di Rozzol erano poco ricercati forse
per l'umidità o per l'esposizione a Nord-Est, così che vi si impiantarono squallide case pigionali
occupate da famiglie poverissime. Ma la trasformazione edilizia avviata dai primi decenni del XX secolo modificò
le caratteristiche demografiche di questa zona, poiché le nuove case furono occupate prevalentemente da impiegati,
mentre, in precedenza, il quartiere aveva carattere operaio nella parte bassa e rurale nella zona alta. Così
con l'espansione della città, Chiadino venne a trovarsi in parte congiunta al centro da una zona più
o meno fittamente fabbricata, tanto da essere presto aggregata al distretto urbano di Barriera Vecchia: in effetti
l'ampliamento del pomerio cittadino stabilito dalla legge dell'aprile 1882 comprendeva anche buona parte di tale contrada
territoriale fino all'altezza di via Donadoni, dove, qualche anno dopo, sarebbe sorta la VI chiesa parrocchiale cittadina
di San Vincenzo de' Paoli.
Anche quì l'inurbamento della campagna andò accentuandosi con la costruzione di strade e di case d'affitto
e il più intimo contatto con la città contribuì a trasformare in breve le famiglie di tipo rurale e
di lingua slava in famiglie di tipo quasi cittadino e di lingua italiana. Pertanto il settore urbano che, dalla metà
dell'Ottocento, conobbe un accelerato sviluppo demografico ed edilizio fu quello di Barriera Vecchia, centro della nuova
periferia e principale nodo di strade che servivano aree marginali ormai in fase di espansione; qui infatti convergono a
ventaglio vari assi stradali, lungo i quali, nell'ultimo trentennio del XX secolo, si concentrò un'intensa attività
costruttiva. Così tale zona, che nell'arco del suo sviluppo non ebbe mai limiti alle spalle e conquistò
via via terreno nuovo all'edificazione, vide crescere numerosi quartieri operai e popolari col relativo spostamento del
baricentro geografico, economico e sociale della città.
Poli aggreganti di questo nuovo tessuto urbano alla periferia orientale di Trieste si possono considerare la Caserma della
Marina in piazza della Barriera Vecchia, le scuole popolari di Barriera vecchia (1847), di via Ferriera (1872) e di via
Donadoni (1892), il giardino d'infanzia «Arciduca Rodolfo» in via Manzoni (1880) e la Chiesa di San Vincenzo de' Paoli,
unica chiesa della zona fino al 1935.
L'erezione di nuove chiese in città e sul territorio rimase, com'è noto, un problema aperto e dibattuto
fra Curia Vescovile, i.r. Governo e Magistrato Civico per buona parte del XX secolo, che vide un notevole incremento
demografico con la conseguente espansione urbana di Trieste. Negli anni in cui andava sviluppandosi il quartiere di Chiadino,
la chiesa più vicina era quella di S.Antonio Taumaturgo, nella cui parrocchia il quartiere gravitava con non piccole
difficoltà che facevano sentire sempre più urgente il bisogno di un edificio di culto.
Così il 19 luglio 1890 fu collocata la prima pietra di San Vincenzo de' Paoli, sorta come chiesa filiale di
S.Antonio Taumaturgo ed eretta a parrocchia (la VI parrocchia della città) appena nel 1908 non senza tensioni
e contrasti fra Curia e Magistrato Civico nell'insanabile conflitto fra religione e patria: il Municipio temeva infatti
che quella nuova chiesa in zona periferica potesse favorire «lo stabilirsi di un'altra sentinella avanzata dello slavismo
nel cuore della città. Ma al di là delle lotte e delle lacerazioni nazionali spesso portate all'esasperazione,
si può dire che gli esiti della prima guerra mondiale e l'unione di Trieste all'Italia mutarono anche le condizioni
storiche per un rinnovamento della prassi pastorale e per una rivitalizzazione del cattolicesimo triestino, fino ad allora
protetto e finanziariamente sostenuto dalle strutture statali: lo sviluppo dell'istituto parrocchiale e l'attenzione
all'Azione Cattolica furono le scelte di fondo per l'animazione cristiana della diocesi durante l'episcopato di mons.
Luigi Fogar (1923-1936) e del suo successore, l'arcivescovo mons. Antonio Santin (1938-1975).
Il primo, nei dodici anni del suo episcopato, raddoppiò le parrocchie cittadine, portandole da sei a dodici,
mentre mons. Santin, che alla fine del secondo conflitto mondiale aveva visto ridotta la sua diocesi a quasi la sola città
di Trieste, portò le parrocchie cittadine a una trentina.
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